Riflessione sul Vangelo della domenica
di Rosa Maria e Giorgio Middione
Nella liturgia di questa domenica considerata come la “domenica delle Palme e della Passione del Signore” vengono letti due vangeli che rappresentano il cuore della nostra fede: l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, osannato dalla folla, ed il racconto evangelico della Passione di Cristo. Entriamo nella settimana più importante dell’anno, la settimana santa, nella quale celebriamo i misteri della Passione, morte e risurrezione di Cristo; un periodo in cui siamo invitati a soffermarci, a riflettere sul cammino percorso da Gesù nell’ultima fase della sua esistenza terrena.
Oggi contempliamo la storia di quel Dio che così come proclamiamo nel Credo “umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte ed a una morte di croce” (Fil 2,8), e lo fece “per noi e per la nostra salvezza”. Gesù, servo obbediente, si sottomette alla volontà del Padre affinché si compia la missione per cui era stato mandato e lo fa “per Amore”.
Sin dal suo ingresso a Gerusalemme, ed a seguire in tutti i momenti vissuti tra le pagine della Passione, scorgiamo un Dio umile e docile ed è questo l’insegnamento che Gesù vuole donare ad ognuno di noi, ed è questa la via che Gesù desidera che seguiamo: la via della mitezza, nel pieno stile di Dio, uno stile d’Amore che dovrebbe avere ogni cristiano.
Gesù entra nella città Santa osannato dalla folla come un re ma, lo fa in groppa ad un asino, non su un cavallo, su un destriero maestoso ma su un animale di servizio, una bestia da “soma” che porta i pesi degli uomini e che si contraddistingue per la sua docilità, un animale remissivo che tutto sopporta con pazienza, e sempre nell’obbedienza. Gesù è un re diverso, che si lascia portare dall’animale più umile e servizievole. Da lì a pochi giorni dall’entrata trionfale sarà, poi, messo in croce, rinnegato ed abbandonato da tutti.
Ripercorriamo, allora, insieme gli ultimi giorni della Sua esistenza sino a quando si consegna liberamente ai suoi crocifissori, senza opporre alcuna resistenza; con mitezza e docilità sopporta ogni oltraggio, ed in ogni momento della Sua Passione continua ad amare incondizionatamente quando viene abbandonato dai discepoli li ama, quando viene tradito da Giuda lo ama, quando viene rinnegato da Pietro lo ama, quando viene disprezzato, ingiuriato, percosso continua ad amare. Arrestato e trattato come fosse un ladro, un malfattore, processato, condannato, picchiato ed insultato e nonostante tutto Gesù non ha mai smesso di amare e nell’atto supremo del Suo sacrificio, sino all’ultimo respiro ha continuato ad amare e perdonare, usando misericordia e donando tutto se stesso. Gesù ha vissuto l’Amore fino all’estremo il dono della propria vita, il gesto d’amore più grande che si possa fare, un Amore folle e sconfinato che dovrebbe essere un “modello” da seguire ed “insegnamento” per la nostra vita.
La nostra chiamata è, dunque, una chiamata all’Amore; amare gli altri come Dio ci ha amati e ci ama, con lo stesso sguardo di Dio, agendo nell’obbedienza e seguendo le vie che il Padre ha tracciato per noi, anche quando sembrano incomprensibili, spogliandoci di noi stessi e del nostro “io” per rivestirci della Sua Volontà.
Oggi, invece, sembra che l’inno dell’uomo, il suo live motive sia il “Prima io”, perché spesso quello che riusciamo a fare è amare noi stessi, solo noi stessi!!
“Prima io” … poi il mio sposo/a,
“Prima io” … poi i miei figli,
“Prima io”… e poi, eventualmente e, se c’è tempo, gli altri.
Quante volte il nostro egoismo, il nostro “Prima io”, ha distrutto i rapporti con gli altri, ha logorato le nostre famiglie, le nostre case, quante volte il nostro “Prima io” ha mortificato il nostro coniuge, i nostri figli, i nostri cari.
Quante volte il nostro “Prima io” ha offeso Cristo e rinnegato la sofferenza che ha patito per noi, per ognuno di noi.
Quante volte il nostro “Prima io” ci ha fatto dimenticare di essere fratelli.
Ogni giorno, guardando solo noi stessi, dimentichiamo che l’Amore che Dio ci ha voluto donare assume forme diverse, lo abbiamo sotto gli occhi e non lo vediamo! Sono le persone e le relazioni in cui siamo chiamati a donare noi stessi, è lì che siamo chiamati ad amare; e quell’Amore che Dio vuole insegnarci non corrisponde ai beni materiali, ai regali, al denaro, ma, ha la forma del tempo, della dedizione, dell’ascolto, dell’offerta, della rinuncia, del sacrificio e tutto questo non sarà pesante ma lieve perché fatto con Amore cercando gli occhi di Dio negli occhi e nel cuore dei nostri cari. L’offerta d’amore che compie il Cristo sulla croce diventa esempio di ogni offerta d’amore.
Noi sposi siamo chiamati ad avere cura e tenere vivo il sacramento sponsale portando a compimento ciò a cui siamo stati consacrati. Ogni volta che gli sposi si amano come “Cristo ci ha amati” ovvero donandosi l’un l’altra, sacrificandosi con dedizione reciproca, con quell’amore incondizionato che cresce ogni giorno di più, si realizza la nostra chiamata matrimoniale. È nel dono quotidiano di noi stessi, consegnando la nostra vita nelle mani del coniuge che si compie la chiamata alla sequela di Gesù, costruendo e confermando il sacramento sponsale e rendono viva, ogni volta, l’offerta di Cristo, dello sposo (Gesù) per la sua sposa (umanità).
Signore tu che sei morto e risorto per noi, e ci hai insegnato che tutto si può compiere tutto “è possibile” con e per Amore, rendici capaci ogni giorno di morire a noi stessi annullando il nostro orgoglio e il nostro egoismo cosicché la nostra terrena esistenza possa diventare con il Tuo aiuto un’umile offerta d’Amore perenne. Amen
Vangelo
VANGELO
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21,1-11
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”».
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».
Parola del Signore.