Meditazioni per la novena di Pentecoste in famiglia – 5° giorno
di Daniela e Giuseppe Gulino
Amare è accogliere senza riserve
Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso tramite il quale i coniugi si accolgono e si donano reciprocamente, per condividere tutta la vita.
Non è affatto scontato o naturale che un uomo e una donna decidano, per amore e nella libertà, di donarsi reciprocamente e di condividere tutta la vita per sempre. Dono e condivisione sono le forme dell’amore umano-divino che, mediante il sacramento del matrimonio, nel quotidiano relazionarsi degli sposi, rendono possibile il “per sempre” dell’amore.
In una società convulsiva e insoddisfatta, dove il desiderio è sempre più sostituito dal bisogno impellente di consumare, possedere e cambiare continuamente oggetti, nel prometeo tentativo di acquietare l’inquietudine umana, il “per sempre” della coppia uomo-donna è il vero miracolo odierno.
Che un uomo e una donna decidano di stare insieme per godere momenti di reciproca felicità non è un fatto sorprendente. Si può stare insieme solo per alcuni momenti al giorno senza vivere una vera relazione di reciproca appartenenza. Ci si può, infatti, limitare a considerare l’uomo o la donna come oggetto del proprio bisogno, come strumento per acquietare la propria inquietudine, senza però entrare in una vera e propria comunione di vita.
La cosa sorprendente, invece, è che un uomo e una donna decidano di donarsi e condividere “tutta la vita”. Questo è possibile quando i coniugi riconoscono nella loro esperienza d’amore una profezia, una promessa, che apre al futuro e orienta il presente. L’innamoramento è sempre un evento d’incantamento, di poetica apertura verso l’altro/a diverso/a da sé.
Ogni essere umano è ontologicamente un essere “aperto” cioè in stato vocazionale, in ricerca del senso della propria unicità, identità, profezia. Proprio perché la vita non è predeterminata da un moto divino che agisce senza coinvolgere e promuovere la libertà umana, ogni persona è chiamata a essere consapevole protagonista del senso del proprio essere e vivere. Tale consapevolezza si esercita nella modalità esistenziale di apertura all’Altro – in riferimento a Dio – e all’altro/a essere umano.
Questa tensione vocazionale- profetica si sviluppa nella disponibilità ad andare incontro a ciò che viene incontro. La vita è un flusso continuo di offerte, possibilità, accadimenti che trasformano, situazioni da assumere per farne occasioni di crescita. La vita è mistero. Ogni essere umano nel modo di disporsi al flusso vitale può crescere o regredire, maturare o ricadere in forme infantili.
Molto dipende dalla capacità di essere aperti o dalla volontà di essere chiusi, murati nei propri pregiudizi, paure, progetti. All’interno di queste dinamiche si inserisce l’apertura dell’uomo alla donna e viceversa. Incontrarsi significa disporsi al nuovo, all’inedito, al mistero, al diverso da sé che si concretizza in quel volto, in quella persona, in quella determinata storia che l’incontro uomo-donna determina.
Inizia l’avventura dell’amore, qualcosa si muove dentro, si accende una scintilla. Quel volto, quel modo di parlare, quella determinata fisionomia fisica, quei determinati atteggiamenti, la delicatezza dei gesti della persona suscita un interesse, tocca qualcosa d’interiore, accende una luce…il mondo appare diverso, tutto acquista un colore e un calore nuovo.
L’amore è qualcosa che accade, avviene. Non è frutto di calcolo, di ragionamento, di valutazione costi e benefici. Non si tratta del momentaneo e immediato colpo di fulmine, ma di un vero e proprio cammino “vocazionale”, di discernimento che sfocia nella consapevolezza di voler vivere “per sempre” con la persona amata.
Il “per sempre” dell’amore non è percepito o vissuto come un obbligo o un divieto, ma come la condizione profetica dello sviluppo della libertà nell’incontro tra uomo e donna. Nella profezia assunta attraverso l’amore che si concretizza nella decisione del “ per sempre”, sancito attraverso il sacramento del matrimonio, i coniugi intraprendendo un cammino di reciproca trasformazione, maturazione, semplificazione, purificazione.
Il senso della condivisione di vita tra gli sposi non è quello di diventare “uno” in maniera fusionale, ma due in stato di comunione. La promessa biblica “… e i due diventeranno una sola carne” (Gn 2,24), ripreso poi nel Vangelo “così non sono più due ma una sola carne” (cfr Mc 10, 6-9), non è da intendersi come annullamento delle diversità e dell’unicità dei coniugi, ma come tensione di apertura all’altro da sé nel modo unico che caratterizza l’uomo e la donna.
L’unità sponsale non è nell’ordine dell’identità dei soggetti uomo-donna, ma nell’ordine dell’amore nella diversità di ciascun coniuge. Lo straordinario della vita matrimoniale non è che l’uomo annulli se stesso per amare la donna e viceversa, ma che ciascuno diventi autenticamente se stesso proprio amando l’altro/a. Si rimane due in comunione. Quando invece si pretende di diventare “uno” allora scatta la perversa tentazione di asservire l’altro a sé, di dominare per amare di se stessi in un regressivo infantilismo fusionale.
Accogliersi.
Cosa vuol dire che i coniugi si accolgono? Anzitutto è bene chiarire la differenza tra ricevere e accogliere. Chi riceve rimane in uno stato passivo, chi accoglie, invece, entra in una relazione attiva. Possiamo vivere l’avventura matrimoniale limitandoci a ricevere l’altro con fare passivo senza un vero coinvolgimento affettivo, emotivo, fisico, interiore, spirituale. Possiamo ridurre la vita matrimoniale a un fatto meramente fisico, sessuale, oppure emotivo, psicologico, senza una partecipazione che coinvolga la nostra interezza.
Questo accade quando ci limitiamo ad amare un aspetto del nostro coniuge e non la totalità della sua persona, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, potenzialità e limiti. Riceviamo, ogni qualvolta, pretendiamo che sia l’altro/a cambiare e adeguarsi a nostri ritmi, progetti e aspettative.
L’accoglienza, invece, è attenzione all’altro nella sua totalità e, pertanto, disponibilità a lasciarsi coinvolgere e a cambiare tutti quegli atteggiamenti che ci rinchiudono nel nostro egoismo. L’accoglienza è un continuo ricominciare, rinnovare l’amore, il proprio “si”, il desiderio di amare e conoscere ciò che dà gioia all’altro/a. È apertura al nuovo, all’inedito, nello stesso. Non è ricerca di novità, ma accoglienza dello stesso come novità. Il ripetersi di gesti, di sguardi… tutto ciò che costituisce il quotidiano vivere insieme non è vissuto con noia e angoscia, ma come dono che si rinnova nell’oggi.
L’amore è novità, ma non cerca cose nuove. La cultura consumistica è fondata sul continuo cambio di oggetti, cose, persino persone, per provare l’ebbrezza del nuovo, di qualcosa di diverso che ci risvegli dal torpore della noia. Oggi, infatti, siamo profondamente annoiati perché strapieni di cose, oggetti, immagini. Vivere, per molti, significa fuggire la noia, cercare contini stimoli che accendano il desiderio.
Secondo questa logica l’amore è un tempo breve che finisce nel momento in cui quella determinata persona ci appare come qualcosa di “vecchio”, già usato, consumato, conosciuto. Presi dalla logica “usa e getta”, l’uomo e la donna vanno alla ricerca del nuovo e dunque decidono di cambiare partner, di interrompere la loro relazione matrimoniale alla ricerca di nuove avventure che riaccendano il desiderio.
In realtà la noia è l’incapacità a dare senso e significato a ciò che facciamo e viviamo. La noia è la paura di crescere, di gestire le pulsioni adolescenziali del godimento dei propri bisogni, della voglie narcisistiche che continuamente ci stimolano a ripiegarci su noi stessi, sino a voler cercare nell’altro/a una sorta di rispecchiamento del nostro ego. La noia è fuga dalla realtà, è rigetto della realtà nella sua oggettività, drammaticità, essenzialità. È fuga dal tempo e dallo spazio, ricerca continua di stimolazioni esterne.
L’amore invece cresce e si sviluppa nella fedeltà allo stesso, nella ripetizione di gesti, parole, sguardi, emozioni, sentimenti… che non sono mai gli stessi anche se realizzati dalla stessa persona e diretti alla stessa persona. Nessuno è mai lo stesso, ma cambia continuamente. Siamo in divenire. Non siamo identità monolitiche, ma esseriumani in stato di crescita. Ogni giorno non è mai lo stesso rispetto a ieri.
Ogni momento esistenziale è sempre un evento inedito nell’atto in cui lo assumiamo e ne siamo partecipi. Ogni persona è sempre un’identità in divenire, un mistero insondabile. Amare il nuovo nello stesso significa essere aperti alla novità dell’incontro che rivela aspetti sempre nuovi e inediti del nostro essere e vivere con nostra moglie, nostro marito, figli… aderendo alla realtà senza idealizzazioni.
Nella vita matrimoniale la novità consiste nel ricominciare ogni giorno ridonando significato ai gesti che compiamo, rinnovando le ragioni del cuore, rimotivando il senso delle scelte fatte, ricordando la chiamata al matrimonio, rinnovando la fedeltà all’amore. L’amore è qualcosa che si estende e dilata progressivamente all’interno delle relazioni umane. Non è mai un evento che accade in un momento e in maniera totale. Ma è una totalità che si dilata nel frammento. L’amore è un cammino, un viaggio che si sviluppa per tappe all’interno delle diverse stagioni della vita. L’amore non è un punto di arrivo, ma di partenza, di ricominciamento, senza fine.
Per coltivare tale disponibilità è necessario un lavoro interiore di rappacificazione con se stessi che gli sposi sono chiamati a intraprendere per una vera crescita nella reciproca accoglienza. Se, invece, ciascun coniuge è saturo di sè, del proprio io-distorto, chiuso nelle proprie aspettative… difficilmente potrà aprirsi all’accoglienza, potrà riconoscere il nuovo esistenziale che accade nello spazio relazionale proprio della vita matrimoniale.
Coltivare la propria interiorità è un compito umano urgente e necessario per sviluppare la propria identità e per ritrovare in sé stessi – e non sempre o soltanto fuori di sé – il senso della propria vita. Sentirsi amati da Dio, dal proprio coniuge, dagli altri, non significa entrare in una dinamica di dipendenza, ma di libertà e autentica conoscenza di sé.
L’amore non è la risposta alle nostre insicurezze, ma la condizione esistenziale per riconoscersi unici con l’altro/a, insieme all’altro/a, in un processo di continua apertura che struttura la soggettività nella comunione di vita attraverso l’accoglienza.
Accogliersi significa fare spazio all’amato/a senza giudicare, senza pretendere nulla in cambio, senza voler modificare nulla, senza cercare se stessi nell’altro.
Ci si accoglie come marito e moglie per il semplice motivo di essere marito e moglie. Accolgo lei, accolgo lui totalmente, senza rimuovere nulla. L’altro è un dono da non possedere, ma custodire e far germogliare nella comune terra dell’amore. L’accoglienza ha un volto, il nostro volto. Un volto triste e tirato, indurito e offuscato, non favorisce alcuna accoglienza. Piuttosto, un volto aperto, come finestra che si apre verso orizzonti spaziosi e luminosi, sorridente, illuminato, favorisce un clima di accoglienza.
L’accoglienza è un esercizio, non è un fatto spontaneo. Nessuno è umanamente adatto o non adatto all’accoglienza. Si tratta di un’acquisizione lenta e costante che solo l’amore può alimentare. Non c’è amore senza accoglienza e non c’è accoglienza senza tenerezza. Accogliere è come dire alla persona amata “sei un dono prezioso e io sono qui per te”.
A volte è necessario fare il primo passo, non lasciarsi condizionare dagli umori, dalle sottili o palesi tensioni. Si tratta di non cedere all’abitudine dell’altro. Abituarsi al proprio coniuge significa non accorgersi più di nulla, avere occhi e non vedere nulla. L’abitudine rende miopi, ciechi, sordi, indifferenti. L’accoglienza guarisce dalla tentazione all’abitudine, dalla ripetizione meccanica di gesti e parole che non comunicano nulla.
L’accoglienza è creatività, atto poetico, che interrompe la monotonia del ripetersi. Un mazzo di fiori, un pensiero scritto, un regalo a sorpresa, un abbraccio riconciliante… tutto concorre a dissipare ogni tensione e ritrovare, nella semplicità, reciproca accoglienza.
Possiamo concludere queste brevi riflessioni affermando che il “Si, ti accolgo” detto il giorno del matrimonio è promessa e profezia.