CREDI NEL SIGNORE GESÙ E SARAI SALVATO TU E LA TUA FAMIGLIA – 2ª Parte


Traccia della relazione tenuta da Sebastiano Fascetta
nel corso della “Giornata regionale della Famiglia”
organizzata da RnS-Sicilia a San Cataldo (CL)
14 ottobre 2018

 

2ª parte

 

di Sebastiano Fascetta

 

Gesù è il Signore

Il nucleo essenziale della fede cristiana è la confessione della Signoria di Gesù «Perché se con la tua bocca proclamerai: Gesù è il Signore!, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10,10).
Gesù è Signore perché ha vinto la morte con l’amore, ha liberato l’umanità schiava del peccato facendosi carico, per amore e nella libertà, del giogo che ci teneva prigionieri della morte (cfr Eb 2,12). La fede nasce ai piedi della croce (cfr Mc 15,39), cioè contemplando l’infinito amore di Dio che ci ha amati mentre eravamo peccatori (cfr Rm 5,8). Non è la croce in se che fa grande Gesù; non è la croce che salva l’umanità, ma è Gesù che fa grande la croce, è per mezzo del suo amore effuso sul trono della croce che siamo salvati.
«È proprio nella contemplazione della morte di Gesù che la fede si rafforza e riceve una luce sfolgorante, quando essa si rivela come fede nel suo amore incrollabile per noi, che è capace di entrare nella morte per salvarci» (Lumen Fidei, n. 16).
Non è la sofferenza che suscita la fede, ma l’amore di Gesù nella sofferenza: «Non la croce salva, ma la vita piena di amore di colui che vi è steso sopra, amore più forte della morte e che fonda l’evento della resurrezione. Non la sofferenza salva, ma l’amore con cui si vivono e si elaborano le situazioni di sofferenza e di lutto. l’amore dà senso anche al non senso del soffrire, all’inumanità e all’assurdo della croce» (Luciano Manicardi).
Dio, non ci toglie le difficoltà, ma si manifesta nelle nostre difficoltà, sostenendoci e orientandoci con il suo amore. Dio, ha scritto D. Bonhoeffer, «Non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza, non protegge dal dolore ma nel dolore. Dio non salva dalla croce ma nella croce».
Proclamare, confessare la Signoria di Cristo significa credere nella forza dell’amore al punto da rimanere fedeli anche quando tutto attorno a noi sembra contraddire l’amore. «L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità
stessa di Cristo che si dona sulla Croce… Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi» (Familiars Consortio, n. 13).
Notiamo che san Giovanni Paolo II, non dice che la Chiesa è richiamo per gli sposi, ma l’esatto contrario.
Gli sposi cristiani, in virtù del Sacramento, portano i segni dell’amore di Cristo nella carne della loro carne. In che modo gli sposi sono oggi richiamato permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla croce? In croce Gesù proclama il perdono, afferma che Dio non vuole sacrifici ma misericordia, manifesta la fedeltà di Dio nonostante l’infedeltà umana. Perdono, misericordia e fedeltà sono certamente i modi attraverso i quali gli sposi sono interpellati a vivere la loro vocazione in comunione con il Signore. Non esiste il matrimonio perfetto perché non esistono persone perfette, infatti, «in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte dalla grazia» (Gaudete et exsultate, n. 49). Nonostante ogni buona intenzione siamo sempre soggetti ed oggetti di male. Vittime e carnefici.
Subiamo e facciamo del male. Questo accade inevitabilmente all’interno delle mura domestiche. Ciò nonostante, non c’è spazio per la rassegnazione al male perché l’amore di Dio ci spinge a fare quello che possiamo e a chiedere a Dio quello che non possiamo. In particolare siamo chiamati a vivere in famiglia il primato del perdono, della reciproca compassione nelle nostre fragilità, della fedeltà oltre ogni rancore, risentimento.
Dalla contemplazione della Croce di Cristo non discende un senso di rassegnazione, ma un desiderio profondo di lasciarsi trasformare dalla grazia per vivere secondo la grazia. Questo richiede un esercizio continuo tra gli sposi, in famiglia, di ascolto, di dialogo sincero, di pazienza, di dedizione, di generosità. L’amore richiede un lavoro umano senza il quale tutto svilisce e cede alla tentazione dell’abitudine.
Dalla croce di Cristo discende la forza di superare le offese tra coniugi, la tentazione di agire secondo la logica “occhio per occhio, dente per dente”, rispondendo al male con il male. Quante volte siamo tentati di chiuderci nel mutismo per un’offesa ricevuta, rimuginando nel cuore e nella mente, fatti, parole, atteggiamenti del nostro coniuge o dei nostri figli, sino a cadere nello scoraggiamento e nella sfiducia. In che modo, in queste situazioni, siamo richiamo di ciò che è accaduto sulla croce? In che modo lasciamo che la grazia di Dio modifichi i nostri comportamenti?
Non ci sono tecniche particolari, ma certamente l’ascolto della Parola di Dio e la preghiera, aiutano le famiglie ad assumere, giorno dopo giorno, il pensiero e lo stile di Cristo. A tal proposito ha scritto Papa Francesco: «Si possono trovare alcuni minuti ogni giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Con parole semplici, questo momento di preghiera può fare tantissimo bene alla famiglia» (Amoris Leatitia, n. 318).
La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente recuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che ci umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio che trasmettere agli altri (cfr Evangelii gaudium, n. 264).

La salvezza èmettere in pratica Dio

Per iniziare un processo di miglioramento o risanamento delle relazioni coniugali, familiari, bisogna sempre partire da ciò che è evidente, mai dall’ideale. La salvezza agisce nel poco possibile. Non ci vien chiesto di fare cose strepitose, semmai, di amare in maniera strepitosa. La straordinarietà risiede nell’amare la realtà, il quotidiano, cogliendone gli aspetti belli e umanizzanti che solo uno sguardo amante sa riconoscere.
Il luogo per eccellenza per vivere la salvezza ed esprimere la fede è, infatti, il quotidiano, l’oggi esistenziale. «Dopo aver incontrato l’amore di Dio che salva, proviamo, con o senza parole, a manifestarlo attraverso piccoli gesti di bontà nella ruotine quotidiana e nei momenti più semplici della giornata» (Papa Francesco, IX incontro mondiale delle famiglie, Irlanda 2018).
Ancora, Papa Francesco nella Gaudete ed exsultate: «La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani… Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari» (cfr 143.144).
Traendo ispirazione dal brano degli Atti degli Apostoli e in particolare il capitolo 16, versetti 33-34 – «Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio» – possiamo richiamare alla nostra attenzione alcuni atteggiamenti basilari per vivere ed esprimere la fede che salva:

a) Accogliere: “Egli li prese con sé, a quell’ora della notte”
La salvezza passa attraverso le relazioni che ogni giorno siamo capaci di compiere, per amore e nella libertà, senza lasciarci scoraggiare dalle inevitabile cadute, ma trovando in Dio la forza per ricominciare. L’accoglienza è la condizione dell’amore che irradia la nostra vita famigliare dal sorgere del sole sino al suo tramonto. Nulla è mai scontato, tanto meno l’amore. Una delle malattie peggiori dell’amore è l’abitudine all’amore, la banalità nel modo di vivere il quotidiano, l’incapacità ad avere cura dei gesti, delle parole, degli sguardi cedendo all’automatismo relazionale. L’incapacità ad amarsi nelle piccole cose ci rende sempre più distanti ed estranei. A volte proprio all’interno della casa, dell’ambiente famigliare così assuefatti l’uno all’altro, corriamo il rischio di assumere atteggiamenti banali, non rispettosi, come se tutto è dovuto e non bisogna conquistare nulla. Amarsi significa alimentare il desiderio erotico e agapico l’uno per l’altro. L’amore è sempre stupore che suscita gratitudine e gratuità.

b) Curare: “ne lavò le piaghe”
La salvezza passa attraverso la cura reciproca, l’essere accanto l’uno l’altro nel tempo della crisi, delle difficoltà. Il carceriere lava le piaghe (cfr At 16,33), come il buon samaritano cura le ferite dell’uomo incappato nei briganti. Essere “medici” e “medicina” l’uno per l’altro, è di fondamentale importante all’interno dei vissuti famigliari. Anche lavare i piedi è l’atteggiamento del discepolo che imita l’unico Signore e Maestro (cfr Gv 13,1ss) e simboleggia, al contempo, una particolare attenzione alla terra, alla realtà, alla nostra fragilità.
È sguardo verso il basso e non sguardo altezzoso, orgoglioso, che crea distanze ed esprime giudizio. Lavare le piaghe significa anche perdonarsi, reciprocamente: «Senza l’abitudine al perdono, la famiglia cresce malata e gradualmente crolla» (Papa Francesco, Incontro mondiale della famiglia, Dublino, 2018).

c) Evangelizzare la casa: “li fece salire in casa”
Dobbiamo portare Gesù in famiglia; la fede in casa, sino a farne pane quotidiano. Non si tratta di parlare di Gesù dalla mattina alla sera, ma di assumere lo stile di Cristo all’interno della vita familiare, coniugale, con la medesima attenzione che abbiamo ogni qualvolta siamo all’interno della parrocchia o delle attività del gruppo. La spontaneità dei gesti di preghiera, di ascolto, di fraternità, di condivisione che esplicitiamo in ambito ecclesiale e spirituale, devono riecheggiare con spontaneità, creatività e freschezza, all’interno delle nostre case, senza vergogna, paura, pregiudizi. Come testimoniare che Gesù è il Signore della nostra vita se poi nelle scelte che facciamo il Vangelo non è motivo d’ispirazione e di discernimento? Come manifestare la bellezza e verità della nostra fede se non abbiamo a casa un tempo per pregare insieme come coppia, senza aver timore di essere visti dai nostri figli? Come seguire Gesù, imparare da Lui, conoscerlo, assumere la sua mentalità, se non abbiamo tempo per leggere come coppia il Vangelo e custodirlo nel cuore, per trarre motivo di ispirazione nella vita di tutti i giorni?

d) L’umanità della fede: “apparecchiò la tavola”
Mangiare insieme è per la scrittura un gesto di alta comunione, partecipazione di vita, intimità, amicizia, corresponsabilità, complicità. La salvezza passa da come apparecchiamo la tavola, da come ci relazioniamo, da come ci preoccupiamo gli uni degli altri, senza lasciarci imprigionare dalle pulsioni egoistiche e narcisistiche che sonnecchiano dentro di noi.
La tavola è l’eucaristia che continua nella vita, in famiglia, mescolanza di arte, amore, dosaggio, discernimento, gusto, sapori, bellezza, gioia. I verbi eucaristici sono noti: prendere, benedire, spezzare, donare. Vera e propria scuola d’umanità: prendere in consegna la vita dell’altro/a senza possederla; benedire ovvero esercitarsi all’arte della gratitudine e della gratuità; spezzare condividendo ciò che siamo e ciò che abbiamo; donare per amore e nella libertà. La tavola, il mangiare insieme sintetizza tutto questo, lo rende visibile nell’atto umano del condividere il pasto insieme, mettendo in moto tutti i nostri sensi, la nostra affettività, il nostro desiderio di bene.
Tutto questo, ricorda il testo degli Atti degli Apostoli, avviene nella gioia: «Fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio».
«Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore… la capacità di godere e permette di trovare gusto in realtà varie, anche nelle fasi della vita in cui il piacere si spegne. La gioia matrimoniale, che si può vivere anche in mezzo al dolore, implica accettare che il matrimonio è una necessaria combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri, sempre nel cammino dell’amicizia, che spinge gli sposi a prendersi cura l’uno dell’altro: «prestandosi un mutuo aiuto e servizio» (Amoris Leatitia, n.126).

 

Preghiera per gli sposi davanti a Gesù crocifisso

Gesù Sposo e Salvatore,
che sull’altare della croce
hai spalancato cuore e braccia per amore,
hai guarito la nostra cecità
con la luce radiosa della tua carità e
ci hai abbeverati alla fonte del tuo costato
con l’acqua viva dello Spirito,
rinnova la fiamma del tuo amore
nelle piccole cose di ogni giorno,
per vivere il mistero grande della nostra comunione con passione e stupore.
Amen

 

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