Il Vangelo nella Famiglia – 23 settembre 2018


Riflessione sul Vangelo della XXV domenica del tempo ordinario

di Maria e Sebastiano Fascetta

Tutte le letture della liturgia odierna convergono sul tema della violenza: «Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti» (1ª lettura); «Dove c’è gelosia e spirito di contesa c’è disordine» ( 2ª lettura); «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno» (Vangelo).

Alla radice di tutto questo vi è il delirio di onnipotenza, che affiora spesso nei nostri comportamenti e che il Vangelo ci indica parlando della mania dei discepoli di voler essere superiori gli uni agli altri. Tentazione che attraversa tutta la storia dell’umanità. La bella notizia del Vangelo odierno è che tale meccanismo non è il proprio dell’essere umano. L’uomo non è fatto per la violenza ma per la mitezza. Seguire Gesù vuol dire intraprendere il cammino di umanizzazione che ci apre all’accoglienza. Gesù, con la sua testimonianza e le sue parole, ci offre la possibilità di modificare il modo di vedere gli altri e di passare dalla logica del dominio alla logica dell’accoglienza. La più alta dignità dell’essere umano non è la prepotenza, il dominio sugli altri, ma l’accoglienza a partire da ciò che è piccolo, insignificante, debole, nascosto. Amare una persona significa accoglierla, farle spazio nella propria vita, renderla intima al proprio intimo. Questo accade in maniera mirabile all’interno dell’esperienza matrimoniale. Sposarsi non significa possedere ma accogliere creando le condizioni intere ed esterne per far si che la persona amata giunga ad essere pienamente e compiutamente se stessa. Perché questo avvenga bisogna iniziare ad accogliere la parte peggiore degli altri e di noi stessi, senza giudicare ne proiettare le proprie paure e preoccupazioni. L’accoglienza è sempre un atto contemplativo che raccoglie, con cura e premura, la fragilità della persona. Chi ha uno sguardo prepotente ricerca nell’altro/a la potenza, cioè che affascina. Chi, invece, ha uno sguardo accogliente ama l’altro nella sua fragilità e dunque nella sua verità e nuda realtà. Generalmente è quello che non vogliamo vedere e sentire di nostra moglie, marito, dei nostri figli, che bisogna accogliere. Ciò che ci fa problema e ci appare insignificante è invece, quel “bambino” che il Vangelo ci invita a guardare e a curare. Proviamo ad ascoltare dentro di noi cosa ci infastidisce dell’altro/a e mettiamolo davanti a Dio, magari ripetendo le parole del Salmo responsoriale: «Ecco Dio è il mio aiuto, il Signore sostiene la mia vita». Intercediamo con fede per nostra moglie, marito, figli… e vedremo cambiare il nostro cuore.

 

Dal Vangelo secondo Marco

Mc 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».