26 novembre 2017, XXIV domenica del tempo ordinario – Cristo Re
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Riflessione
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Chi sono i “fratelli più piccoli” per Gesù? E chi sono per noi gli affamati a cui dare da mangiare, gli assetati a cui dare da bere, gli stranieri da accogliere, i nudi da vestire, i malati da visitare, i carcerati da andare a trovare? Con molta probabilità, ascoltando il Vangelo di oggi, la nostra attenzione si polarizza su tutti coloro che, “lontano” da noi, vivono questi disagi e, poiché le loro situazioni non ci coinvolgono direttamente, potremmo anche, in relazione ad esse, sentirci liberi di assumere un atteggiamento di distacco, di indifferenza, e – come sottolinea Gesù ammonendoci – senza fare assolutamente nulla.
Ma, un’ulteriore senso di responsabilità dovrebbe interpellarci se il nostro “non fare nulla” lascia permanere nell’indigenza proprio coloro che sono a noi più vicini, più prossimi. Anche nelle nostre famiglie rischiamo di restare indifferenti davanti alle necessità “esistenziali” di ciascuno. Sono quei bisogni affettivi, spirituali, talvolta meno evidenti delle necessità materiali e fisiche ma non per questo meno importanti. Si tratta di quella fame e di quella sete esistenziali che rimangono inascoltate, incomprese, quando una moglie, un marito, un figlio, chiedono di essere “accolti”, “visitati”, sono quei richiami a colmare i vuoti derivanti da quell’attenzione non ricevuta, di quell’abbraccio non dato, di quel perdono non concesso. Le nostre famiglie non sono immuni da tutto questo, non è scontato che ciò non accada anche a noi.
Se davvero vogliamo “ricevere in eredità il Regno di Dio”, lasciamo che lo Spirito ci sospinga verso le periferie degli ultimi, scopriremo che non sono poi così distanti e così estranee. Crescere nel servizio e nella cura dell’altro all’interno dello stesso nucleo familiare, ci permetterà di scorgere orizzonti inaspettati che solo la potenza dello Spirito è capace di farci raggiungere perché la famiglia, rigenerata dall’amore, sia davvero testimone della bellezza eterna di Dio e, per questo, diventi per le generazioni future progetto di vita desiderabile.
Soraya e Michele
Francesco
Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia. Solo così quel figlio avrà in sé stesso gli elementi di cui ha bisogno per sapersi difendere e per agire con intelligenza e accortezza in circostanze difficili. Pertanto il grande interrogativo non è dove si trova fisicamente il figlio, con chi sta in questo momento, ma dove si trova in un senso esistenziale, dove sta posizionato dal punto di vista delle sue convinzioni, dei suoi obiettivi, dei suoi desideri, del suo progetto di vita. Per questo le domande che faccio ai genitori sono: «Cerchiamo di capire “dove” i figli veramente sono nel loro cammino? Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto: lo vogliamo sapere?».
(Amoris Laetitia, 261)